BORGO SANTA RITA

TIPO DI BORGO — privato

progettista — N.D.

data di progetto — N.D.

località — c.da pisciacane

stato di conservazione — ristrutturato

Borgo Santa Rita, in provincia di Caltanissetta, è un piccolo centro ancora oggi a vocazione prettamente agricola, protetto da due alture: le Mole di Draffù e il Monte Pisciacane. Sorto in un luogo «perfettamente salubre […], tra il giallo delle stoppie, tra verdi teorie di alberi che il Comm. La Lomia ha voluto piantarvi ed ha nello sfondo, mandorleti vasti».
La Lomia prende possesso del feudo grazie alla complessa evoluzione della proprietà fondiaria che ha portato allo scorporo dei latifondi di Draffù, San Martino, Cicuta e Giussudraffù di proprietà dei Moncada, Conti di Caltanissetta. Dalla suddivisione di queste ampie zone si creano nuovi appoderamenti di notevole estensione, i cui «possessori erano borghesi o neoaristocratici che approfittarono del particolare momento economico venutosi a creare con l’abolizione del sistema feudale».
La storia della fondazione di Borgo Santa Rita è strettamente legata ad una fase storica in cui il tema delle bonifiche diventa fondamentale per la politica del regime fascista che aveva assicurato le terre ai reduci della Prima Guerra Mondiale. Il governo Mussolini inizia a promulgare le prime leggi in materia di riforma fondiaria; così nel 1923 nasce il Testo Unico sulle Bonifiche n.3256 con la costituzione dei comprensori di bonifica, classificati tra prima e seconda categoria, integrato con le direttive sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse. Nel testo, ancora, si «prevede la facoltà di esproprio a favore dei concessionari di opere di bonifica, ma anche la trasformazione fondiaria di zone non interessate direttamente alla bonifica idraulica». La ritrosia degli agrari frena, però, gli sforzi fatti per attuare tali provvedimenti. Gli studi e le ricerche di Arrigo Serpieri sul concetto di bonifica integrale cercano di riunire aspetti «tecnici ed igienici legati alla bonifica idraulica di un intero territorio fino alla bonifica agraria, e cioè all’introduzione di sistemi di produzione intensiva in grado di assicurare la vita delle popolazioni stabilmente residenti sulle terre redente». Il processo attuativo, certamente destinato a riscuotere un grande successo a livello propagandistico, stenta ad avviarsi nella pratica. Il governo decide pertanto di promulgare altre due leggi nel tentativo di migliorare la normativa e rendere il processo più veloce. Così, nel 1928 prende vita la Legge Mussolini e nel 1933 il Testo Unico sulle nuove norme per la Bonifica integrale, a firma Serpieri. Delineate le linee guida generali, è necessario che ci sia un ritorno graduale alla terra a dispetto dell’emigrazioni delle masse di contadini nei centri urbani. L’auspicio del regime era di sfollare le città e imporre anche «con mezzi coercitivi, l’esodo dai centri urbani». Per questo fu istituito il Comitato per le Migrazioni Interne che avrebbe dovuto fare rispettare le norme introdotto con la legge n.358 del 9 aprile 1931. In un articolo apparso sulle colonne del Popolo d’Italia del luglio 1933, Mussolini stesso pone dubbi sui risultati fissati dalla normativa, tanto da chiedersi se sia

possibile di ricondurre ai loro villaggi questa massa di ex contadini che li abbandonò? È possibile, ma non bisogna farsi molte illusioni. Solo gli inurbati degli ultimi anni, solo gli inurbati che prima ancora di assumere la psicologia cittadina sono stati sorpresi dalla crisi (il riferimento è al 1929, n.d.r.) possono sentire ancora la nostalgia del ritorno ai campi. Coloro che da oltre un decennio si sono stabiliti nelle città, anche se lo desiderassero, non potrebbero più tornare, data la rete di interessi, delle conoscenze, delle parentele nuove che hanno messo nell'ombra le antiche. Solo colui che ha ancora la psicologia del rurale può tornare e sempre è necessario che sia stato pungolato e avvilito da molti anni di disoccupazione e miseria

Nel contempo, sorgono in Sicilia i primi centri rurali per opera dello Stato e di alcuni, pochissimi privati. Il primo esperimento riguarda i villaggi operai di Filaga, Sferro, Regalmici, Littorio e della Bardara di Lentini sorti tra gli anni Venti e Trenta per diretto coinvolgimento del Ministero dei Lavori Pubblici. I nuovi villaggi, però, non subiscono quella conversione auspicata in alloggi per contadini a cui dovevano essere destinati una volta conclusi i lavori stradali o di bonifica.
Come detto, l’azione privata è ridotta, nonostante le nuovi leggi impongano ai possidenti lavori di bonifica pena l’esproprio. Ad attuare alcune opere e la realizzazione di case coloniche sono i Lanza Branciforti di Trabia presso Polizzello, il Duca di Nelson nelle proprie contrade di Bronte, il Cav. Desiderio Sorce nei terreni nisseni di Fecarotta, noti anche con il nome di Canzirotti o Fanzirotta, e Ignazio Lanza Filangieri che nei dintorni di Villafrati costruisce quattro piccoli acquedotti e un gruppo di dieci case coloniche nelle contrade Serra, Chiarastella e Stallone.
Sorte diversa, invece, tocca a Libertinia e al Villaggio Santa Rita, dove le opere non si fermano alle sole abitazioni ma dove sorgono veri e propri complessi rurali. Come fa notare l’Arch. Marilena La China, le opere sono realizzate dai

proprietari terrieri che “volevano-dovevano” migliorare le condizioni di vita dei propri contadini, si ricordi ad esempio [...] il gruppo di case coloniche costruite dal Barone Bartoli di Mazzarino negli anni 40 nei pressi del più recente Borgo Arciero, nonché le cooperative agricole sorte in Sicilia dopo la grande guerra, a volte legate all’ONC.

Definito da Lilianne Dufour come «un’eccezione nel panorama dell’imprenditoria isolana» insieme al centro etneo, Borgo Santa Rita è stato fondato dal Barone Ignazio La Lomia Bordonaro al centro del suo vasto feudo di «ben 950 ettari, interamente coltivato a mezzadria e distante km.12 e km.15 da Sommatino e Delia, rispettivamente». A causa dell’esiguità dei documenti d’archivio, riportiamo il testo custodito presso l’Archivio di Stato di Caltanissetta, il cui titolo è «Il villaggio agricolo “Santa Rita” creato dal Comm. Ignazio La Lomia Bordonaro, un nobilissimo esempio da imitare» dove si illustra il progetto ed altre informazioni relative alla fondazione.

Nel territorio della nostra provincia, il Commendatore Ignazio La Lomia Bordonaro, nel proprio ex-feudo Pescecane, ha creato un villaggio, denominandolo Santa Rita, ed ha voluto porre tale nome per eternare la memoria della madre, dalla quale ereditò dette terre. Tale villaggio, che oggi consta di ben 90 case coloniche, è abitato da circa 70 famiglie, cioè da 500 persone tra uomini, donne e fanciulli, quasi tutti oriundi da S. Cataldo, il paese che da i migliori agricoltori della provincia. Le case, in conformità ad un piano regolatore, tutte contigue e ben allineate, sono poste in modo da formare delle vere e proprie vie, sboccanti in una piazza, nella quale, oltre al fabbricato grande dell'ex fattorie, sorge, nel punto più elevato, la nuova chiesa con campanile alto 25 metri ed orologio da torre e con annessa canonica. Si accede alla chiesa da un'ampia e comoda gradinata. Le vie sino ad oggi formate, sono denominate "via del Castaldi" (in omaggio ai borghigiani di S. Cataldo che per i primi hanno abitato "Santa Rita"), "via delle Spigghe", "via Ignazio La Lomia", "via del Rosario" [...].
Domani, allorchè il Comm. La Lomia avrà ancora fatto costruire nuovi gruppi di case (poichè conta far edificare altre quaranta abitazioni e stalle), il villaggio diverrà un vero piccolo paese, con grande incremento della coltivazione di quelle stese zone di terreno, ove potrà trasformarsi la cultura, mercè la vicinanza di un centro abitato. E tutto il merito, per tale mirabile esempio di ruralizzazione dovrà darsi ad un proprietario ardimentoso nell'idea e tenace nel lavoro che, per l'attaccamento alla sua proprietà, avrà espletato un programma genialissimo.   Domani, allorchè il Comm. La Lomia avrà ancora fatto costruire nuovi gruppi di case (poichè conta far edificare altre quaranta abitazioni e stalle), il villaggio diverrà un vero piccolo paese, con grande incremento della coltivazione di quelle stese zone di terreno, ove potrà trasformarsi la cultura, mercè la vicinanza di un centro abitato. E tutto il merito, per tale mirabile esempio di ruralizzazione dovrà darsi ad un proprietario ardimentoso nell'idea e tenace nel lavoro che, per l'attaccamento alla sua proprietà, avrà espletato un programma genialissimo.

Nel documento è riportata anche la descrizione della nuove abitazioni costruite per permettere ai contadini di abbandonare quei “pagghiari”, raccontati negli anni Sessanta da Danilo Dolci, tipici delle zone latifondistiche e di cui permangono tracce in diverse zone della Sicilia, come a Tudia e a Turrumè (PA).
Le case di Santa Rita sono a una o due elevazioni fuori terra, costituite da due o tre vani, adibiti ad abitazione, a stalla e a deposito di cereali. L’approvvigionamento idrico è garantito da una conduttura di circa un chilometra che La Lomia fa costruire per convogliare l’acqua raccolta in un nevaio presente in un altro dei suoi possedimenti vicini. L’energia elettrica, invece, è fornita dalla stessa linea che, passando dalle vicinanze del Villaggio Santa Rita, rifornisce Sommatino. 
Secondo lo storico Mario Cassetti, che data la realizzazione del primo nucleo tra il 1922 ed il 1927, il Villaggio Santa Rita è «un’entità autonoma» grazie alla presenza della scuola, della chiesa, della rivendita dei sali e tabacchi, di un magazzino sociale e di un palmento. Sono piccoli edifici che grazie ai nuovi interventi trovano una sistemazione più consona alle necessità degli abitanti. Così, la scuola è «formata da una magnifica aula, molto ben areata, e costruita conforme alle più scrupolose norme igieniche; annessa e sovrastante ad essa, vi è la comoda ed elegante dimora per l’insegnante, che abita quasi tutto l’anno sul posto». La caserma, distaccata dal nucleo principale, è formata da sei vani al piano terra e altrettanti al primo piano ed ospita «in permanenza, cinque militi, compreso il brigadiere che ha una abitazione comoda e decorosa».
La chiesa, in stile eclettico, è ad unica navata con un grande portale d’entrata ad arco a tutto sesto ed è caratterizzata dalla torre campanaria con aperture trifore ed «una tozza cuspide piramidale» che presenta ancora un orologio circolare di cui oggi rimane solo il quadrante.
I due edifici amministrativi si trovano su un lato della scalinata in cui è posto il «palazzetto a due piani e copertura con tetto a padiglione» alle cui spalle si erge il «palazzetto padronale racchiuso in una corte interna» dove oggi si trova il Micromuseo Immateriale del pane e del grano.
L’accesso al borgo rurale è garantito, dopo che lo stesso La Lomia «ne ha avuto le promesse dai competenti uffici», da una breve strada che si distacca dall’attuale SP2 ma che prima degli interventi non esisteva ancora. L’opera del 19 aprile 1930 è stata redatta dall’Ufficio del Genio Civile di Caltanissetta per un importo di 5.000.000Lire, dei quali 4.760.000Lire a base di appalto e 240.000Lire a disposizione dell’Amministrazione ed approvata dal comitato tecnico amministrativo del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Sicilia durante l’adunanza n.1172 del 5 gennaio 1931.
Nella parte finale del documento citato, si indica che La Lomia avesse già in previsione di costruire nuovi gruppi di case così da trasformare Borgo Santa Rita «in un vero piccolo paese, con grande incremento della coltivazione di queste estese zone di terreno». Perchè solo facendo «affezionare il lavoratore alla propria terra, poichè è risaputo che il contadino di Sicilia, allorchè ha la possibilità di abitare insieme alla famiglia nel luogo del proprio lavoro, alla fatica si dedica con maggiore tenacia».
Durante la riforma agraria degli anni Cinquanta, Borgo Santa Rita non è coinvolto nelle opere di trasformazione fondiaria o di scorporo di terreni. Solo due piccoli piani di ripartizione, il 93 ed il 94, per un totale di 24 poderi in cui avrebbero vissuto circa 96 persone, si trovano a poca distanza dal centro. Qui, era prevista la costruzione di alcune case sparse ed altre raggruppate sullo stesso modello di Borgo Aquila e Borgo Saladino. Secondo la mappa del 1953, l’Ente di Riforma Agraria Siciliana (ERAS) progetta a Draffù un centro rurale a supporto dei servizi già presenti — così come fatto a Filaga; quest’opera tuttavia scompare già nel quadro riassuntivo dell’agosto 1955. L’idea di costruire un borgo di servizio viene ripresa durante gli anni Sessanta. Il 12 maggio 1960 con nota n.6536, il Presidente dell’ERAS Francesco Pignatone invia all’Ufficio Provinciale di Caltanissetta una lettera con oggetto “Istituendo borgo S.Rita in contrada Pisciacane” in cui si richiede la documentazione necessaria per redigere la relazione contenente le proposte per la istituzione del borgo. Due settimane dopo, dall’ufficio nisseno l’Ing. Vincenzo Gagliano Candela fa pervenire alla sede centrale le corografie della zona del Borgo Santa Rita ed allega le istanze presentate da Filippo Trapani, presidente della cooperativa “Il lavoratore Cristiano” di Delia, e da Cataldo Urso a capo della “Luigi Corazzin” di San Cataldo, tendenti ad ottenere la «istituzione di un Borgo tipo A» a favore della numerosa popolazione — circa 500 persone — residente nelle vecchie case costruite da La Lomia. Il 15 giugno 1960, Ugo Minneci capo servizio dell’Ufficio Gestione Borghi dell’ERAS scrive un promemoria a Pignatone in cui descrive le condizioni del territorio «onde potere accertare la convenienza o meno della istituzione di un borgo di tipo “A”». Non solo le case di Borgo Santa Rita sono ancora abitate ma insistono anche 15-20 ricoveri di fortuna, i pagliari, quelle stesse strutture che La Lomia aveva cercato di eliminare. I lotti, risultanti dall’intervento che nel 1938 aveva portato allo scorporo del latifondo e alla costruzione del complesso di Santa Rita, sono stati venduti ai 270 soci delle cooperative locali. Minneci dapprima analizza la condizione delle strade, suggerisce la realizzazione di un acquedotto per captare l’acqua della sorgente Drafù, di un collegamento con la rete elettrica e telefonica e poi indirizza gli uffici tecnici alle opere da progettare, considerando che bisogna aggiungere un alloggio alla Casera dei Carabinieri per un Comandante ammogliato; occorre prevedere un plesso scolastico di almeno cinque classi per circa 150 bambini, oltre all’asilo per circa quaranta scolari e quattro alloggi per gli insegnanti. La scuola deve essere, poi, fornita delle attrezzature scolastiche, didattiche e per la cottura e distribuzione della refezione calda. Inoltre, si deve provvedere ad attrezzare l’ambulatorio e l’agenzia postale con il necessario e dotare gli edifici con alloggi per gli impiegati; occorre la costruzione di 3 o 4 magazzini per conservare sementi, attrezzi, etc.; occore prevedere un locale idoneo per riunioni, scuola serale per adulti, corsi di aggiornamento e istruzione tecnica; si deve raggruppare lo spaccio-trattoria-locanda in un unico edificio «munito di tutti i conforti moderni». La chiesa, già presente, deve essere revisionata e rimessa in ordine sia nelle strutture, che negli impianti, arredamenti e attrezzature; la delegazione municipale, infine, deve essere ampliata con l’aggiunta degli alloggi per gli addetti. Le carte recuperate interrompono qui la vicenda, al momento nel quale l’ufficio di Minneci attende le disposizioni dei suoi superiori sul da farsi. In questo caso, nonostante la mancanza di un riscontro archivistico, la vicenda è stata scritta dalla storia che racconta come il progetto non sia andato più avanti ed accantonato definitivamente. Le grandi migrazioni all’estero che negli anni Settanta hanno colpito tutto il sud rurale hanno, infine, decretato lo spopolamento e il declino della vitalità del centro nisseno.
Oggi, Borgo Santa Rita, col suo vecchio impianto, è abitato da pochissima gente, dedita soprattutto all’agricoltura, all’allevamento ed alla pastorizia. Grazie all’amore per questo piccolo scrigno di memoria e alla visione di Maurizio Spinello, nasce il forno Santa Rita, un piccolo panificio che dal borgo esporta i sapori e le storie di questa parte della Sicilia verso tutto il mondo e permette al centro nisseno di sopravvivere, creando turismo sostenibile e principalmente legato allo slow food.