LIBERTINIA

TIPO DI BORGO — privato / a

progettista — N. D. / Seminerio e Di Pisa

data di progetto — 1926 / 1952

località — c.da mandre rosse

stato di conservazione — buono

Libertinia è l’unica frazione del Comune di Ramacca e prende il nome dal suo fondatore il Barone Pasquale Libertini Gravina di San Marco. La storia del Borgo è lunga e complessa, attraversando diverse fasi storiche e molteplici trasformazioni e adattamenti architettonici ed urbanistici.

Il testo di Guido Libertini e Nunzio Prestianni del 1934 permette di delineare la storia e i mutamenti che hanno portato alla fondazione del villaggio, sorto al centro di un vasto territorio per lungo tempo inaccessibile e abbandonato in cui era diffuso il brigantaggio e l’abigeato.

Nel 1920, il Comune di Caltagirone fu spinto a soddisfare il desiderio di molti reduci che reclamavano terre da coltivare purché queste non fossero lontane dal centro abitato. Per venire incontro a tali richieste, l’amministrazione calatina acquistò dall’On. Libertini 2150ha di terre fertili da quotizzarsi prossime alla città, dando in cambio 3800ha costituiti da alcuni feudi del territorio di Judica o della Baronia di Camopietro. Grazie all’intercessione di Lugi Sturzo, il Barone acquisì i Feudi di Mandrerosse e Mandrebianche (1654ha circa), Calatarì Piccolo ed Albospino (978ha circa), ceduti rispettivamente nel 1923 e nel 1925 alla Cooperativa V.E.III di Raddusa per frazionarli e offrirli ai propri soci. Al momento della presa in possesso, nei diversi feudi soggetti a trasformazione esisteva soltanto la Masseria Albospino e si trovavano in pessime condizioni quelle a Mandrebianche e Mandrerosse, oltre ad alcune casette sparse che certamente risultavano “insufficienti all’esercizio di un’agricoltura estensiva”.

Con l’intento di valorizzare le proprie terre e convinto che una delle principali cause dell’abbandono fosse la lontananza dal qualsiasi centro abitato, Libertini decise di realizzare un piccolo centro rurale nel Feudo di Mandrerosse, luogo scelto per le favorevoli condizioni di salubrità, per la presenza di sorgive e per la prossimità con la ferrovia. Il villaggio avrebbe permesso ai contadini di risparmiare tempo ed energie, evitando loro di percorrere ogni giorno chilometri per raggiungere le terre.

Avviati nell’annata 1926-1927, i lavori di bonifica a Mandrerosse seguivano i principi del Regio Decreto Legge n.753 del 18 maggio 1924, che contemplava le trasformazioni fondiarie e incoraggiava i proprietari a realizzare le opere necessarie con il concorso dello Stato al fine di migliorare la produttività dei fondi. Libertini beneficiò inoltre dei contributi accordati dalla Legge n.1024 del 16 giugno 1927 che in base all’art. 2 concedeva ai proprietari un sostegno pari al 25% per la costruzione di fabbricati rurali: in questo modo, si costruirono 60 case coloniche per l’abitazione permanente dei contadini, raggruppate in 6 file di 10 case ciascuna. Gli alloggi erano provvisti di tutto il necessario, benché ben più modesti di quelli dei villaggi operai, ed erano costituiti da “due vani, uno per la camera da letto, con piccola cucina sporgente di circa 47mq. per un’intera famiglia, alla quale era anche concesso un cortiletto ed un pollaio”. Ai lavoratori giunti a Libertinia si offriva un “contratto di concessione per 29 anni con l’obbligo di piantare vigne, gelsi, mandorli ed ulivi e con diritto di avere scorte vive o morte”. Per aumentare la produzione, giunsero al villaggio agricolo “trattrici, seminatrici aratri di vari sistemi, erpici, camion, e una grande trebbiatrice M.A.I.S.” ed erano in corso “studi d’impianti meccanici per la irrigazione”.
La scuola, frequentata da quaranta alunni divisi in Balilla e Piccole Italiane, era dedicata al martire fascista Gustavo Mariani la cui storia è molto simile a quella di Gigino Gattuso. Come per Gattuso, infatti, le circostanze in cui Mariani venne assassinato risultano confuse ed ancora oggi non è del tutto chiara la dinamica [maggiori informazioni].

Alla Chiesa si accedeva percorrendo le piccole strade “dai nomi floreali”: Via delle Zagare, Via delle Rose, Via degli Oleandri. La struttura religiosa ricordava la cappella costruita nel XV Secolo dal patrizio catanese Don Alvaro Paternò nel villaggio etneo di San Gregorio (oggi Chiesa di San Filippo d’Agira) ed era caratterizzata da una “caratteristica policromia degli spigoli, a conci bianchi e neri, nonché per la lunetta a mosaico che sovrasta la porta”. All’interno, sull’altare si trovava una tela del pittore M. Vaccaro che rappresentava la “Madonna della Provvidenza: il Divino Fanciullo, presso le ginocchia materne, presenta all’orante mannelli di spighe”. L’edificio religioso, ispirato

nelle sue linee all'architettura quattrocentesca siciliana, coronava il piccolo villaggio in cui i gruppi di case erano inframezzati da zone di respiro e da ajuole, mentre attorno all'abitato si venivano creando dei tratti alberati

Non lontano dalla Chiesa, si trovava la caserma dei Carabinieri e poco più in la il cimitero ed il “boschetto intitolato ad Arnaldo Mussolini”. Fuori dal villaggio rurale un “angusto sentiero, fiancheggiato da esili cipressi […], ci guida ad una piccola sorpresa […]. Il sentiero, lungo circa mezzo chilometro, conduce infatti ad un luogo romito, ad una roccia anfrattuosa […] sul cui fondo, in una grotta naturale, si scorge l’immagine serafica di San Francesco, una semplice statua lignea scolpita da oscuri artisti della Val Gardena”.

A completare le necessità di Libertinia erano l’ufficio postale, il mulino San Marco e la casa padronale con una grande stalla per il ricovero degli animali, l’acquedotto e il bevaio in pietra per l’approvvigionamento idrico. Libertini fece inoltre costruire un ampio magazzino nei pressi della stazione ferroviaria come deposito delle derrate agrarie. Il complesso edilizio, come fa notare Salvatore Di Fazio, risulta “compatto con impianto simmetrico a corte centrale, cui si accede attraverso un grande portale”. Necessarie anche le realizzazioni di strade poderali per 19km circa per collegare il villaggio con la stazione, con la strada Catenanuova — Raddusa e con i due ex feudi Mandrebianche e Albospino fino alla strada Catania — Raddusa.

A supportare economicamente l’opera del Barone Libertini fu la Sezione Credito Agrario del Banco di Sicilia — istituito con Legge del 29 marzo 1906 n.100 — che partecipò inizialmente con un prestito di 270.000Lire, a cui si aggiunsero 20.000Lire “da erogarsi dal fondo destinato alle opere di pubblica utilità e beneficienza” per gli edifici di servizio.

Mussolini elogiò Libertinia e la prese come esempio per incentivare le opere di politica agraria tanto che “con gesto spontaneo, dettava l’iscrizione che, incisa nel marmo ed affissa in una delle piazze del piccolo borgo, ne doveva quasi consacrare la nascita”

Sorge Libertinia fra i campi
che rendono forti gli uomini
e grande la Patria,
nel segno del Littorio romano e fascista

L’8 febbraio 1929 ed in base al R.D. 2 dicembre 1928 n.3077, “veduti i pareri favorevoli espressi dal podestà di Ramacca con deliberazione 20 aprile 1928 e dalla Commissione Reale per la straordinaria amministrazione della provincia di Catania con deliberazione 10 ottobre 1928” fu sancito che al villaggio rurale e alla stazione di Saraceni si attribuisse il nome di Libertinia [decreto originale conservato dall’Archivio di Stato di Roma].

Il primo settembre 1929, un articolo apparso sul settimanale illustrato del Popolo d’Italia “La Domenica dell’Agricoltore” descriveva la grandiosa opera di bonifica, perseguendo le disposizioni del D.L. 24 dicembre 1928 n.3134 che diede facoltà ai prefetti “di emanare ordinanze obbligatorie allo scopo di limitare l’eccessivo aumento della popolazione residente nelle città”.

A Libertinia, si pensò dunque di far giungere coloni da tutte le provincie della Sicilia, in particolar modo dalla zona sud-orientale dell’isola, “rilevandoli dai centri urbani più congestionati”, e, con il supporto del Ministero dei Lavori Pubblici, dal lontano Friuli, integrandoli ai cinquanta nuclei già residenti. Tra le famiglie che segnarono le vicende di Libertinia c’è sicuramente quella dei Tusa. Secondo lo storico Salvatore Lupo, i Tusa insieme ai cugini Seminara, partendo dalla zona di Mistretta (ME), giunsero nelle aree interne della Sicilia seguendo le vie della transumanza. È il 1926 quando Pasquale Libertini affidò loro il controllo del Feudo Mandrerosse, facendoli gabelloti su quei territori. Dagli anni Trenta, Sebastiano Tusa iniziò ad amministrare la grande proprietà, ricoprendo il ruolo di delegato podestà ed affermando in questo modo la presenza della propria famiglia nel piccolo centro catanese, presenza che dura tutt’oggi.

Il 18 marzo 1930, fu realizzato dal Geom. Diego Villareale il progetto per la strada di collegamento tra il villaggio rurale e la Stazione di Libertinia, per una spesa prevista di 174.812,70Lire. L’opera, approvata nel febbraio 1931 dal C.T.A. del Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Sicilia, sembrava più che necessaria dato che la popolazione di Libertinia contava già 800 persone e l’incremento era continuo e sensibile. Prima dell’intervento, il villaggio era allacciato alla stazione ferroviaria “a mezzo di un tratto di m.1850 della strada N°25 (Stazione Libertinia — Stazione Raddusa) e di un tratto di m.1300 circa a fondo naturale, transitabile solo nel periodo estivo”. Per rendere possibile l’accesso durante tutto l’anno, l’Amministrazione Comunale di Ramacca, visto il parere positivo del Provveditorato, deliberava di procedere alla costruzione di una nuova strada ed affidava allo stesso Libertini “l’incarico di far compilare a proprie spese il relativo progetto” e di accettare il “contributo offerto dallo stesso On. Libertini in ragione del 40% della spesa e di subordinare l’esecuzione dell’opera alla concessione del sussidio Governativo e Provinciale previsto dal R.D. 8/5/1919 n°877 art.2, lett. a“. Veniva, dunque, riconosciuta definitivamente la “notevole importanza” di Libertinia per l’economia agricola di una vasta area della Piana di Catania.

La rivista del Touring Club Italiano “Le Vie d’Italia” nel numero 5 del maggio 1932 menziona il centro rurale in un articolo sulle opere pubbliche compiute in Sicilia. “Ottimo principio sul cammino […] d’una volenterosa redenzione della terra attraverso un ritorno degli uomini al suo grembo sicuro e con l’usbergo dei nuovi ed efficaci patti agrari” sono le realizzazione avvenute per iniziativa pubblica dei villaggi di Regalmici, Sferro, Littorio e Filaga e quelle d’iniziativa privata di Santa Rita (CL), Regaleali (PA) ed appunto di Libertinia.

A menzionare Libertinia nella propria indagine sulla Sicilia del 1937, terra contraddistinta da una ruralità arcaica in cui spesso i proprietari erano restii ad iniziative di bonifiche, fu anche Virginio Gayda nel ciclo di articoli apparsi sul “Giornale d’Italia” dal titolo “Problemi Siciliani”. L’autore fa notare come dove prima dominava la solitudine e l’abbandono, adesso grazie al nuovo villaggio “millecinquecento coloni […] lavorano la terra vivendo nelle case sparse. È cresciuto il grano. Vanno sorgendo gli uliveti, i vigneti e gli agrumenti […]. La vita ritorna dove era l’inerzia secolare dell’abbandono”.
Nel 1939, la situazione della bonifica integrale e della colonizzazione in Sicilia era profondamente cambiata: Vincenzo Ullo, sempre sulle pagine de “Le Via d’Italia“, descriveva la nascita di una nuova Sicilia, pronta all’assalto del latifondo e alla realizzazione capillare di case e borghi rurali. Tutto ciò fu reso possibile grazie all’azione di enti pubblici, come l’Istituto Vittorio Emanuele III per il Bonificamento della Sicilia che condusse i primi esperimenti di lottizzazione nel Feudo di Sparacia e di aziende private che “con la loro azione rinnovatrice hanno dimostrato come anche la proprietà  privata sappia elevarsi all’altezza dei tempi”. Il riferimento era proprio a Libertinia e alla trasformazione dell’ex-feudo Spedalotto (EN) dove, “se non è sorto un villaggio, si è però attuato il primo esperimento di meccanizzazione integrale di una azienda agricola in Sicilia”.

È del 1939 il testo “Mandrerosse — Paesaggi, uomini e canti di Libertinia” che, accompagnato dalle tavole del pittore Roberto Rimini, riassumeva la ricerca di Francesco Pastura durante la sua residenza nel villaggio. Pastura, musicista e musicologo catanese conosciuto soprattutto per i suoi lavori su Vincenzo Bellini, iniziò a dedicarsi alla ricerca di canti e tradizioni siciliane già nel 1937 in un breve articolo intitolato “Gridi e cantilene del popolo siciliano” dove venivano presentati cinque esempi raccolti nei pressi di Catania.

Per Vincenzo Ciminello, l’esperienza di Pastura a Libertinia

costituisce un’antesignana esperienza di ricerca sul campo. Come si evince dalle pagine dell’opera, lo studioso soggiorna infatti varie volte nella masseria del feudo e gli esiti del suo lavoro vengono riorganizzati, arricchiti e pubblicati in volume (1939), per volontà del senatore Libertini, solo dopo che erano apparsi in maniera frammentaria come articoli di terza pagina sul periodico catanese “Popolo di Sicilia”. Il microcosmo socioculturale indagato da Pastura è permeato dall’incontro tra l’ideologia fascista e un atteggiamento di rassegnazione di fronte a ogni aspetto della vita, palese in molte affermazioni degli informatori che lo studioso ebbe modo di intervistare [continua a leggere]

Libertini morì nel 1940 senza lasciare figli. I 1022ha del feudo di Mandrerosse furono venduti e suddivisi tra Sebastiano Tusa che acquisì 200ha; 300ha, opportunamente frazionati, vennero presi in proprietà dai contadini che li avevano coltivati. La rimanente parte del fondo — circa 500ha — fu trattenuta da Guido, nipote del Barone Libertini, che ne prorogò l’affitto ai Tusa fino al 1949.
Il 27 dicembre 1950, la Regione Siciliana varava la Legge n.104 sulla Riforma Agraria decretando il passaggio delle attività dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo all’Ente di Riforma Agraria per la Sicilia (ERAS) che continuava la serie di opere per il miglioramento fondiario nell’intero territorio siciliano. Tra gli interventi messi in atto dal nuovo Ente, vi fu anche la realizzazione di alcuni edifici di servizio a Libertinia per far fronte alle nuove necessità e per consentire alla popolazione una miglior residenza nel Borgo.

Secondo la relazione tecnica contenuta nel progetto esecutivo del 15 luglio 1952, approvato con D.A.F. n.2/8845 dell’8 novembre e con voto n.29775 dal CTA del Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Sicilia, dopo la sua fondazione Libertinia non ebbe grandi possibilità di sviluppo “per la mancanza di un’adeguata assistenza civile e sanitaria”. Era cambiato il modo di vivere e le abitazioni, costituite da due vani ed una piccola stalla, risultavano in condizioni statiche ed igieniche carenti e accoglievano tra le sette e le otto persone. Inoltre, erano presenti nelle zone limitrofe a Libertinia “un certo numero di baracche di legno e di muratura a secco adibite anch’esse ad abitazione”. Il servizio religioso si svolgeva in locali ridotti e da riadattare, l’insegnamento scolastico “si svolge in locali di fortuna […] non aventi un minimo di requisito igienico”. In buona sostanza, la popolazione del centro agricolo viveva in uno stato di arretratezza che “mortifica chiunque ha motivo di visitare il villaggio e pertanto appare quanto mai giustificato, urgente e necessario, l’intervento dello Stato per realizzare quel minimo di attrezzatura civile che risponda alle esigenze della vita sociale del contadino”.
 Il rifornimento idrico era saltuario a causa di continui guasti alla conduttura e la strada di accesso “trovasi in pessime condizioni ed in molti tratti affiora il sottosuolo stradale”.
Prima dell’avvio dei lavori per i nuovi edifici, con Decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 1952 n.4494, fu riconosciuto agli effetti civili, il decreto del Vescovo di Caltagirone dell’1 gennaio 1952, integrato con postilla 4 agosto 1952, relativo all’erezione della parrocchia di Maria Vergine della Provvidenza.


Nel 1952, dunque, l’ERAS decise di farsi carico della situazione di “disagio della popolazione, provvedendo adeguatamente a creare i presupposti di una normale e razionale assistenza civile, religiosa e sanitaria”. 
Venne dato incarico all’Ing. Di Pisa e al Geom. Seminerio di redigere i progetti per:

  • Asilo infantile
  • Ambulatorio medico
  • Sistemazione della strada di accesso e delle strade interne
  • Costruzione delle fognature
  • Nuova canonica annessa alla chiesa da riattare
  • Scuola
  • Gruppo caserma carabinieri, delegazione municipale ed ufficio postale
  • Ricostruzione della rete idrica, costruzione di un serbatoio e distribuzione nel villaggio mediante fontanelle
  • Impianto elettrico

L’importo complessivo delle opere finanziate con fondi regionali ammontava a 178.000.000Lire, suddivisi in 139.400.000Lire per i lavori a base d’asta, 38.600.000Lire a disposizione dell’Amministrazione distinte in 9.600.000Lire per spese generali a carico dell’Ente nella misura dell’8%, 6.300.000 per oneri di finanziamento nella misura del 4% e 10.240.000Lire per imprevisti. La cifra avrebbe, così, rispettato le indicazioni del Decreto Interassessoriale 1 aprile 1953 n.295 che, riprendendo il Decreto Interministeriale 3 gennaio 1941 n. 11255, fissava la spesa massima per i borghi e li suddivideva in tre tipologie (A-B-C) in base a requisiti precisi.

Firmato il contratto con l’impresa Goffredo Ziino, i lavori furono avviati il 30 dicembre 1952. Il 30 giugno 1954 fu necessario redigere una perizia suppletiva dell’importo netto di 10.238.000Lire per apportare alcune varianti tecniche nelle previsioni del progetto e per provvedere all’esecuzione di maggiori opere non previste. Alla perizia, fu allegata la domanda del 14 agosto 1954 dell’ERAS e dell’Assessorato Agricoltura e Foreste ed il voto n.90 del 12 novembre 1954 del Comitato Tecnico Provinciale per la Bonifica Integrale di Catania tendente ad ottenere la concessione dei lavori da parte del Provveditorato. In particolare, le opere avrebbero riguardato:

Maggiori approfondimenti degli scavi di fondazione negli edifici “Scuola ed Asilo”, adozione di fondazioni in c.a. in sostituzione di quelle ordinarie previste negli edifici “Delegazione Comunale-Caserma Ufficio Postale ed Ambulatorio”; utilizzazione della pendenza naturale del terreno retrostante gli edifici “Delegazione Comunale e Caserma dei Carabinieri per ricavarvi uno scantinato nel retroprospetto da destinare ad uso rimessa macchine e deposito; opere di drenaggio a monte degli edifici “Chiesa - Asilo - Scuola” ed esecuzione di scavi in galleria per la capostazione delle sorgenti previste per l’approvvigionamento idrico del Borgo, in sostituzione degli scavi a cielo aperto previsti in progetto.

La perizia fu presentata al Genio Civile di Catania che nella relazione d’istruttoria esprimeva parere favorevole sulle opere proposte ma indicava una riduzione della spesa a 8.100.000Lire. A far seguito alle considerazioni dei tecnici catanesi, fu anche il Provveditorato con voto n.32256 del 26 novembre 1954.

In base all’Art. 2 della Legge 5 aprile 1954 n.9, l’ERAS stilò il primo programma da eseguire per le opere di bonifica e miglioramento fondiario. Il Capo Servizio dell’Ente Ing. Abbadessa redigeva, così, un documento inerente le opere di ripristino, presidio e completamento per diversi borghi dell’isola. L’Ing. Di Pisa e il Geom. Seminerio furono incaricati ancora una volta di occuparsi di Libertinia e stilare una perizia relativa al completamento del Borgo e all’ampliamento della Canonica. L’importo complessivo sarebbe stato di 35.000.000Lire, suddivisi in 19.346.663Lire per le opere relative all’edificio religioso, mentre la restante parte sarebbe stata investita per gli altri lavori: coloriture degli infissi, collocazione dei vetri, completamento delle fognature, dei marciapiedi e parte della sistemazione stradale.

Il 31 ottobre 1954, l’ERAS consegnò i locali dell’Ufficio Postale all’incaricato Domenico Bartucciotto mentre il 18 febbraio 1956, alla presenza di Vincenzo Tusa, delegato del Sindaco di Ramacca, e dell’Ing. Seminerio dell’ERAS si procedeva all’attuazione dell’art n.1 della Legge 890/1942 secondo cui

gli edifici e gli impianti destinati a servizi di competenza comunale, costruiti a spese dello Stato nei centri rurali sorti nelle zone del latifondo siciliano, colonizzate in attuazione della legge 2 gennaio 1940-XVIII, n.1, saranno trasferiti gratuitamente in proprietà ai Comuni con il vincolo della destinazione perpetua ad uso di pubblica utilità.


All’atto del passaggio di proprietà, gli edifici di servizio erano privi della tinteggiatura nelle pareti e nei soffitti, la coloritura degli infissi era limitata alla sola prima mano tranne che nella Chiesa e nel serbatoio e mancavano i vetri ad un gran numero di finestre.
Se da un lato, i lavori di cui al Decreto n.2/8845 e la successiva perizia erano finalmente conclusi e si stava procedendo alla nomina del collaudatore, dall’altro erano ancora da ultimare i lavori relativi all’ampliamento della Canonica che erano stati approvati dal CTA ma per i quali l’Assessorato non aveva ancora trasmesso il decreto di concessione. A seguito di pressanti richieste pervenute da autorità politiche e religiose, l’Impresa avviò i lavori previsti in perizia, senza attendere il perfezionamento dell’istruttoria per una spesa totale di 8.100.000Lire. Dal canto suo, l’Ente aveva già pagato all’Impresa 4.590.000Lire che aveva rallentato i lavori in attesa di un giusto riconoscimento da parte degli organi regionali.

Parallelamente, l’ERAS decise la costruzione di un adeguato numero di alloggi per assegnatari. Le nuove abitazioni crearono un nucleo perfettamente integrato con quello precedente, differivano per la loro disposizione a “a maglia rettangolare, con case unifamiliari isolate, organizzate su due piani”. La struttura, il cui schema è possibile ritrovare negli nuclei di Ficuzza, Cuticchi, Ventrelli ed altri della zona del catanese, è caratterizzato da due elevazioni con una piccola stalla e un fienile, un porcile ed un pollaio, il forno ed una stanza adibita a cucina-soggiorno da cui “per mezzo di una scala si accede al piano superiore; qui sono due camere da letto e un piccolo bagno. Un portichetto connette il fienile con il corpo edilzio principale”.
L’ERAS chiese al Comune di Ramacca con nota n.25702 del 17 agosto 1954 che gli “venisse posto a disposizione il necessario terreno” di cui era in possesso per la realizzazione delle case. Con seduta del 16 giugno 1955 n.182 e del 28 novembre 1955 n.324, l’Amministrazione comunale, ritenendo “doveroso inderogabile compito favorire lo sviluppo ed il miglioramento delle zone soggette” alla propria gestione, decise di cedere

una congrua estensione di terreno per allestire varie case d’abitazione di cui vi è gran penuria, da concedersi ai coltivatori del luogo ed a quegli altri assegnatari che intenderanno svolgere attività commercial e artigiana nel borgo rurale

I due ettari, già donati da Sebastiano, Vincenzo e Salvatore Tusa nonché da Alessandro e Adriana Libertini eredi del Prof. Guido, furono suddivisi in 47 lotti e costituirono il piano di ripartizione n.118 ricadente nel raggio di influenza del Borgo di tipo A tra le province di Catania ed Enna e prossimo al limite del comprensorio di Bonifica Altesina — Alto Dittaino e quello di Caltagirone e alle zone di R.A. di Contrada Cuticchi, Franchetto e San Giovanni Bellone. Il “doveroso inderogabile compito” che sembrava interessare inizialmente il Comune non rispettato tanto che alle delibere non fece seguito alcun atto di cessione dei terreni. Ciò determinò che l’ERAS “non potè consegnare gli alloggi” e si limitò a cederli in uso gratuito in attesa di definire i rapporti con il Comune stesso. Diversi anni dopo, la questione cambiò in modo radicale: degli originari assegnatari

solo in pochi erano rimasti insediati stabilmente sul terreno ormai riscattato, tanti hanno venduto il lotto (includendovi l’alloggio), altri si sono insediati nelle case di chi si è trasferito.

Per risolvere l’annosa questione l’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA) il 10 marzo 1994 con nota n.697 propose di trattare l’acquisto del terreno o cedere in permuta qualche alloggio se il Comune di Ramacca si fosse rifiutato di adempiere alle proprie delibere. La cosa, però, sembra esser caduta ancora una volta nel dimenticatoio lasciando la situazione irrisolta fino ad oggi.
La lentezza e le lungaggini burocratiche hanno da sempre condzionato la vita dei siciliani e ancor di èiù di coloro i quali vivono in zone periferche come gli abitanti di Libertinia. Qui, gli esempi sono diversi e ne riportiamo solo alcuni, quelli più significativi. Nonostante l’urgenza espressa più volte all’ERAS dal parroco Giacomo Milazzo nell’avviare i servizi pubblici, al 14 giugno 1957 una parte dei locali non era stata ancora completata negli arredamenti. Solo l’ambulatorio medico era stato definitivamente allestito, mentre l’Ufficio Postale era mancante di armadi, casellari, tavoli etc. Nella Chiesa si era stato costruito l’Altare ed era stata collocata la Via Crucis mentre rimanevano da installare la Fonte Battesimale, le Acquasantiere, i banchi, le controporte e le Campane. A mancare era perfino il baldacchino, acquistato nel giugno 1959 dalla Ditta Prinotti di Mondovì per una spesa di 41.603Lire di cui si fece carico Don Vincenzo Piro, nominato il 2 febbraio 1957 parroco del Borgo per continuare il ministero del di Don Giacomo Milazzo, morto in un incidente stradale.

Nonostante Direzione Didattica di Ramacca diede incarico alla maestra Bartola Correra, la scuola e l’asilo erano privi di nuovi banchi, cattedre, tavoli, sedie, armadi e di tutto l’occorrente. Questo impedì l’avvio delle lezioni per gli 80 alunni di Libertinia che non potevano “trovare posto nei logori banchi biposto” e lo stesso Vincenzo Tusa, in una nota del 19 gennaio 1957, sottolineava come la scuola disponesse di un “miserevole arredamento di fortuna”. Al di là delle difficoltà, il Comune di Ramacca garantì a Libertinia i servizi di assistenza civile e sanitaria, andando incontro a debiti sull’erario comunale e dovendo sollecitare l’ERAS per il pagamento delle quote per i servizi si assistenza pubblica.

I soli sforzi dell’ERAS non furono sufficienti a garantire una vita migliore agli abitanti di Libertinia ed a evitare lo spopolamento delle campagne. Così, Don Piro diede un segnale forte alla piccola comunità impegnandosi al ripristino dell’orologio del campanile, del campo sportivo parrocchiale e della rifusione delle campane della Chiesa, commissionata alla ditta napoletana Capezzuto e Figli, ma soprattutto fece richiesta all’Ente per l’acquisto di una “macchina cinematografica a passo ridotto”. Ugo Minneci, a capo dei servizi dell’ERAS, in una nota del 7 marzo 1961 diretta al proprio Presidente, esprimeva parere favorevole alla cessione di uno degli “apparecchi del tipo richiestoci (Marca Ducati)” che sarebbe potuto essere consegnato al parroco di Libertinia senza alcun problema. Con nota n.3137 del 13 maggio, l’Ufficio Gestione Borghi inviava formale richiesta al Servizio Provveditorato affinché si consegnasse a Libertinia il complesso cinematografico “per l’effettuazione di alcune proiezioni a carattere ricreativo per i parrocchiani”. Venne fissato il giorno di consegna ma Don Piro, lontano da Libertinia per una vacanza estiva, non ricevette l’oggetto tanto sperato così da inviare il 29 settembre 1961 una nota all’ERAS per avere ragguagli. Poco dopo, ancora Minneci rispose che l’incaricato non avendo trovato nessuno fu costretto a tornare indietro il materiale e che invitava il parroco a Palermo per la consegna. Il 5 dicembre attraverso un telegramma, Don Piro comunicò che il giorno successivo si sarebbe recato a Palermo per ritirare il gruppo cinematografico.

Le fatiche del parroco, però, venivano fortemente minate dalle condizioni in cui si era costretti a vivere a Libertinia. L’approvvigionamento idrico ed elettrico non era ancora garantito in modo regolare, come denunciato dall’On. Mario Ovazza che durante la seduta dell’ARS del 9 febbraio 1960 chiedeva all’Assessore Agricoltura e Foreste quali fossero i provvedimenti presi dalla Regione e dall’ERAS in merito. La risposta dell’Assessore Vincenzo Carollo arrivò durante la seduta dell’Assemblea Regionale il 26 aprile 1960, rassicurando che

l’Ente per la riforma Agraria in Sicilia ha provveduto a proprie spese al rifornimento dell’acqua po­tabile necessaria alla popolazione del borgo, con autobotti, e sino a quando non sarà ripristinato il funzionamento dell'acquedotto che si trova già in corso di riparazione. I lavori di che trattasi sono stati, infatti, già consegnati dall’E.RA.S. alla Società Dalmine, sollecitando nel contempo la medesima a dare subito corso ad una riparazione anche provvisoria del tratto di tubazione interrotto. E’ stato altresì disposto che l’andamento dei lavori di sostituzione della condotta pro­ceda in modo da dare luogo solamente a bre­vissime interruzioni dell’esercizio dell’acquedotto, in modo da non arrecare ulteriori disa­gi alla popolazione del borgo. Per l’allacciamento elettrico, poi, si signifi­ca che la Società generale elettrica ha accon­sentito alla risoluzione del problema relativo allo allacciamento delle utenze private alla rete di alimentazione principale ed anzi è sta­ta predisposta una convenzione per regolare la fornitura dell’energia che sarà presto sotto­ firmata dalle parti. Assicuro, comunque, la Signoria vostra ono­revole che sono state impartite precise dispo­sizioni perchè i problemi posti nella interroga­zione cui si risponde siano tenuti presenti fi­no alla completa risoluzione.

Fino al 1962, a Libertinia non fu eseguito alcun intervento di manutenzione ordinaria ne straordinaria, a causa della mancanza di assegnazione di fondi. La situazione statica dei fabbricati, aggravata dalle infiltrazioni d’acqua piovana nei piani di fondazione, causò in molti edifici danni tali da richiedere massicci interventi. Per non compromettere ulteriormente la staticità dei fabbricati, il 21 febbraio 1962 l’Ing. Salvatore Spataro redasse una perizia — autorizzata con nota n.7951/R.A. del 14 settembre 1961 dall’Assessorato Agricoltura e Foreste — riguardante diverse opere tra cui la sostituzione degli infissi esterni e dei solai, il rifacimento dei pavimenti, lo scrostamento degli intonaci esterni, impermeabilizzazione delle pareti, consolidamento delle fondazioni lesionate nei diversi edifici, etc. La tempestività degli interventi era giustificata “dall’importanza che oggi riveste il borgo di che trattasi come opere di riforma agraria in quanto vi fa capo una popolazione di circa 500 assegnatari, non chè dal fatto che il borgo medesimo conta circa 700 abitanti”. L’importo previsto per la realizzazione dei lavori ammontava a 100.000.000Lire, suddivisi in 9.858.773 per le opere esterne, 87.911.227Lire per gli interventi sugli edifici e 2.230.000Lire per le somme a disposizione dell’Amministrazione. L’elenco dei prezzi adottato, fa notare Spataro, riprendeva quello di Borgo Lupo, “distante da Libertinia  Km.49, e già approvato da codesto on/le Assessorato con decreto n.12558/R.A. del 25/8/1958”.

L’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA), ormai subentrato all’ERAS in base all’articolo primo della Legge Regionale n.21 del 10 agosto 1965, presentò solo il 28 dicembre 1967 la domanda di concessione relativa ai lavori di manutenzione straordinaria di Libertinia a cui fece seguito il progetto esecutivo del 28 febbraio 1969. L’importo previsto sarebbe stato di 110.000.000Lire secondo quanto riportato dal voto n.56159 del 12 marzo 1970 del CTA del Provveditorato alle Opere Pubbliche.

Le ultime vicende di Libertinia sono legate all’affidamento o al riscatto delle case e a contenziosi legali sulle stesse. Nella nota n.1844 del 19 luglio 1993, l’ESA stilava un resoconto sullo stato possessorio dei fabbricati e ne risultava che

molti degli originari assegnatari dei viciniori lotti di R.A. hanno riscattato o afrancato il lotto e quasi subito venduto; alcuni hanno abbandonato la coltivazione o sono emigrati; altri sono incorsi in varie altre cause di inadempienza; altri ancora sono deceduti e gli eredi non hanno avuto i requisiti per concorrere a nuova assegnazione.

per l'ESA, molti degli odierni odierni occupanti sono dei detentori senza titolo; nessuno ha mai corrisposto alunchè all'Ente per occupazione di edifici;

l'ESA, di concerto con l'Assessorato Agricoltura e con il Comune di Ramacca, ha avviato una pratica tendente a regolare la situazione catastale e urbanistica, adeguandola al piano regolatore del Comune, al D.L. 28/12/89 e successiva normativa, in vista di un diverso servizio del Borgo.

Il 6 febbraio 2019, l’ESA e il Comune di Ramacca hanno stipulato un accordo tendente al recupero e alla riqualificazione di Libertinia, alla luce del fatto che gli edifici pubblici sono inutilizzati da tempo perchè “sono venuti meno gli obbiettivi della riforma agraria e sono mutate le politiche territoriali riguardanti scuole, poste, caserma carabinieri, etc.”. Tra gli obbiettivi del progetto preliminare si stabilisce di valorizzare il Borgo per incentivare il turismo rurale, la conoscenza del territorio e la promozione e protezione dei prodotti agricoli di qualità, di trasformare gli edifici realizzati negli anni Cinquanta in strutture ricettive, sociali, di studio e promozione del territorio rurale. Inoltre, ci si pone l’obiettivo di favorire collegamenti tra borghi e villaggi interni della Sicilia attraverso la rivalutazione delle regie trazzere e la creazione di ippovie e greenways, cosi come già pianificato nel progetto “La via dei borghi“.
Anche se non ancora attivo, il progetto potrebbe dare nuova linfa a Libertinia, proiettando il Borgo all’interno di un circuito ampio ed economicamente sostenibile. Ad oggi, il villaggio è caratterizzato da una vitalità rara grazie agli sforzi della famiglia Tusa che perpetua le antiche tradizioni con l’aiuto di nuovi mezzi e pratiche, cosi come fece il Barone Libertini quasi un secolo fa.

Per concludere, riportiamo uno scritto pubblicato nei primi mesi del 1969 in “Cronache Parlamentari Siciliane” in cui Vincenzo Tusa usa toni amari e fortemente critici sul modo in cui è stata attuata la riforma agraria nella zona di Libertinia. Nel testo si considerano le politiche agrarie dissennate della Regione Siciliana che furono più disastrose della guerra, causando non morti ma “larve umane, uomini senza prospettiva e senza speranze” che devono emigrare “in paesi sconosciuti” per sfamare le proprie famiglie.
Le considerazioni di Tusa, che a bene vedere potevano essere estese all’intera Sicilia, determinarono la fine di una comunità agricola pulsante e frenetica vessata da ignoranza, demagogia, malafede ed incomprensione tipici di una certa politica che si può sovvertire solo dal basso, attraverso la consapevolezza del popolo.

Mi riferisco alla comunità agricola sita nella Frazione "Libertinia" del Comune di Ramacca. Fu fondata nel 1929 dove prima esisteva solo il latifondo incolto, destinato a pascolo. Qui furono immesse allora quaranta famiglie colonihe che, sotto la guida di imprenditori agricoli, trasformarono 1000 e più ettari di terreno in un centro di produzione ad altissimo livello. Le quarante famiglie provenivano quasi tutte dalla Sicilia sud-orientale ed avevano un tenore di vita molto basso: con il loro lavoro, dopo alcuni anni, le loro condizioni migliorarono sensibilmente; tutta la comunità ne risentiva; la frazione era un centro di vita prospero e rigoglioso, si pensava anzi che il suo sviluppo continuasse sempre, e in meglio.
Poi venne la guerra, ma questa fu solo una parentesi, anche breve, in questo processo di sviluppo: la vita riprese subito dopo e sembrava che il movimento in senso progressivo continuasse. Si arrestò quando in questa zona cominciò ad operare la riforma agraria regionale. Furono distribuiti a contadini, ed anche a non contadini, 47 appezzamenti di terreno per circa 250 ettari, altri piccoli appezzamenti furono comprati dai coloni che già erano sul posto (dei 47 infatti nessun appezzamento toccò in sorte ai contadini locali
), un nucleo di circa 200 ettari fu comprato dall'imprenditore che gestiva prima tutto il latifondo.
A prescindere da certi scossoni iniziali, naturali e logici in una trasformazione fondiaria di tale portata, si sperava che ad un assestamento si sarebbe giunti: oggi, 6 aprile 1969, a distanza di tanti anni, ad un assestamento si è giunti, ma assolutamente negativo: camminando per questo villaggio, parlando con gli abitanti, si ha l'impressione di camminare per le vie di un paese fantasma e di parlare con larve umane, uomini senza prospettiva e senza speranza, che hanno solo la prospettiva immediata, ed unica, di emigrare, di andarsene, per creare un lavoro altro, l'unica possibilità che oggi resta loro per sfamare le loro famiglie. Dinanzi a questa situazione, veramente abnorme, io, che ricordo la vita che pullulava prima in questo piccolo centro, mi chiedo angosciato e pieno di tanta tristezza: perchè tutto questo? che è successo? perchè tanti padri di famiglia sono oggi costretti, con il pianto nel cuore, ed anche negli occhi, ad abbandonare la loro casa, i loro affetti, per emigrare in paesi sconosciuti per far vivere le loro famiglie? La tragica risposta a questi interrogativi è una sola: qui, in questa comunità, come del resto in altre parti della Sicilia, si è operato un delitto per il quale tanti si sono adoperati, forse anch'io che scrivo queste parole! Delitto dovuto ad ignoranza, a demagogia, a malafede, a incomprensione. Dico subito: una riforma agraria si doveva fare, il latifondo non poteva più continuare ad esistere, a maggior chiarimento aggiungo ancora che secondo me la prprietà privata non ha alcuna ragion d'essere, ma certo questo è stato il modo peggiore per farla, questa riforma agraria che pur si doveva fare! Non ci si poteva limitare soltanto a distribuire un misero appezzamento di terreno, e basta! I contadini andavano assistiti, indirizzati, bisognava eseguire quelle infrastrutture che potessero consentire ai contadini di sfruttare quanto e quanto più meglio possibile l'appezzamento che avevano ricevuto. Niente di tutto questo, invece: in questa comunità manca ancora l'acqua, anche per bere: eppure da oltre un decennio, chi scrive, ha spinto chi di ragione a provvedere; esiste inoltre, presso l'ESA, una sezione che si occupa della cooperazione ma, malgrado varie insistenze, non si è riusciti a fare qualcosa di concreto a riguardo; gli edifici pubblici costruiti dall'ESA stanno andando in rovina, da alcuni anni sono stati stanziati 100 milioni a riguardo, ma la perizia dei lavori non riesce ad andare in porto, oltre che per altri motivi, anche perchè nella perizia stessa di voleva incldere, ed in effetti è stata inclusa in un primo tempo, la fornitura dei paramenti sacri e di altri oggetti connessi al culto.
Constatanzione ancora più grave, che del resto è una logica consegueza di quanto sopra s'è detto: i contadini tornano spesso al mulo, anche se prima si servivano del trattore. Quei contadini che lavorano la terra evidentemente, quelli che cioè ancora resistono e non emigrano perchè non possono o per vari motivi o perchè qualcuno ancora insiste: ma per il resto la maggior parte emigra! Non si dirà mai abbastanza di questo tristissimo fenomeno: si, bisognava e bisogna ancora, che sull'agricoltura graviti un minor numero di persone, questo è vero: basti pensare alla percentuale di lavoratori che vive sull'agricoltura nei paesi più progrediti, ma appunto qui sta il nocciolo della questione: prima che queste forze di lavoro abbandonassero, in Sicilia, l'agricoltura occorreva che questa venisse portata sullo stesso piano di quei paesi in cui l'agricoltura è veramente a livello dei tempi, industrializzandola in un secondo tempo: se oggi, per pura ipotesi, purtroppo si volesse far questo, macherebbero qui le forze lavoro capaci per farlo; io sono certo però che se i nostri emigranti sapessero di poter trovare lavoro qui, tornerebbero in massa, anche con una retribuzione inferiore a quella che prendono fuori. Questa è soltanto una pura ipotesi, però, in realtà i nostri contadini continueranno ad emigrare, le nostre campagne consinueranno a spopolarsi e a languire, famiglie continueranno a spezzarsi e a dividersi, inutili industrie continueranno ad essere finanziate dal pubblico denaro e quindi ad essere chiuse, i nostri uomini politici continueranno imperterriti a dilaniarsi, ognuno formando quasi una "corrente" per entrare nella "stanza dei bottoni", e a venir meno ai doveri che hanno assunto con chi, sia pure inconsciamente, li ha mandati al parlamento. Fino a quando? La risposta non è ne facile ne semplice, sembra certo però che ormai la soluzione di questo tragico problema dovrà venire dal popolo!