BORGO FRANCESCO CARACCIOLO

TIPO DI BORGO — A

progettista — Francesco Fichera

data di progetto — 1941

località — c.da fondaco

stato di conservazione — rudere

Citato come esempio di riscatto non solo economico ma anche – e forse soprattutto – politico, Borgo Caracciolo non esiste più da molti anni ormai ma abbiamo deciso di includerlo ugualmente nella nostra ricerca per le sue particolari vicende. Se gli altri borghi visitati finora sono crollati per cause naturali, per l’incuria o per errori progettuali, questo è l’unico non più esistente per una scelta ben precisa: fu raso al suolo nel 1964 per volontà della famiglia inglese dei Bridport – Nelson.
Nel fascicolo “La Redenzione del Latifondo Siciliano” di Mazzocchi Alemanni [maggiori info QUI], Borgo Caracciolo fa parte della seconda serie di borghi rurali ed è citato nel paragrafo dedicato al “Programma avvenire” come un “luogo di particolare significato […], che suonerà, nei secoli, onta eterna per l’impiccatore Nelson”. A rendere la storia del borgo etneo ancora più particolare è il fatto che sia stato l’unico a non essere stato attribuito a un caduto fascista. Francesco Caracciolo, infatti, fu uno dei più importanti agitatori dei moti napoletani di fine ‘700 che mise alle strette i Borboni e fu ucciso “con tipica crudeltà inglese” dall’Ammiraglio Horatio Nelson. Si dice che il luogo abbia suscitato anche l’interesse di Galeazzo Ciano, genero del Duce. La leggenda vuole che, per rivendicare l’onta subita dell’uccisione di Caracciolo, Ciano abbia mandato più volte suoi emissari per l’acquisto della Ducea. In realtà, la cosa risulta poco probabile poichè un privato – anche se un gerarca di primo piano – non poteva prendere possesso di un bene di proprietà dello Stato.
Tralasciando qui i fatti che hanno portato la famiglia inglese a Bronte, abbiamo deciso di concentrarci sugli avvenimenti che hanno segnato la Ducea nel corso del XX secolo, ovvero il periodo che va dall’assalto al latifondo, che passa per la creazione dell’Azienda Agricola Maniace, continua con lo sbarco alleato in Sicilia e si conclude con la distruzione del Borgo stesso. Chiunque, però, voglia venire a conoscenza di come gli inglesi abbiano acquisito i territori siciliani dai Borboni, rimandiamo all’interessante approfondimento del sito Bronte Insieme, curato da Mario Carastro.
Nel 1939, il governo fascista, che aveva già avviato azioni di bonifica integrale in Sicilia, decise di promuovere la costruzione di 25 case coloniche nel territorio di Bronte, poi ridotte a 23. Inizialmente il partito trovò nei Nelson un buon interlocutore e un appoggio locale per i propri scopi. In alcune lettere contenute nei faldoni del fondo privato Nelson, presso l’Archivio di Stato di Palermo, si legge della richiesta fatta dall’insegnante Salvatore Atansio all’Opera Nazionale Balilla di Catania per i calendari del Partito da affiggere nella scuola rurale della Ducea.
Gli inglesi si presero carico dell’impresa coadiuvati dallo Stato. Non tutto, però, andò per il verso giusto. I Nelson non riuscirono ad adempiere agli impegni stabiliti con l’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS) che inviò, sfruttando ritardi sui lavori di costruzione delle case coloniche ed altri cavilli burocratici, un’ingiunzione di esproprio ai proprietari possidenti del vasto territorio su cui si sarebbe dovuta attuare l’opera di colonizzazione. Ad accellelare le volontà dell’Ente ci pensò la storia che stava facendo il suo corso, cambiando radicalmente gli equilibri politici.
È il 10 Giugno 1940 quando l’Italia dichiara guerra alla Gran Bretagna e la Ducea, trovandosi su suolo nemico, viene posta sotto sequestro secondo la Legge del 7/8/1938 per volontà di un Decreto del Prefetto di Catania. Nell’Agosto dello stesso anno, la sezione credito fondiario del Banco di Sicilia per conto dell’EGELI prendeva in consegna il territorio inglese per consegnarla ufficialmente all’ECLS nel Novembre. Il 10 Dicembre, l’Ente di Colonizzazione prende formalmente possesso della Ducea che è definitivamente espropriata con Decreto Prefettizio n.5666 il 19/8/1941. Nasce così l’Azienda Agricola Maniace dell’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano che vivrà sino al 18 agosto 1943. L’esproprio della Ducea fu da monito sia in ambito internazionale che per i piccoli proprietari terrieri siciliani. L’azione, infatti, sottolineava come, in un momento delicato come la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia fascista rivendicava la sua forza e la sua tenacia.
L’esperienza di bonifica integrale sul territorio di Maniace fu interrotta quando, con l’arrivo degli alleati, la Ducea passò dalle mani dell’ECLS a quelle dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied territories), decretando la fine della giurisdizione italiana e il ritorno dell’area in mano inglese.
Del progetto di riqualificazione messo in atto dall’Ente di Colonizzazione non rimane granchè e lo stesso Borgo Caracciolo venne raso al suolo nel 1964 dalle ruspe dei Nelson. Il contenzioso iniziato 200 anni prima si concluse nel 1981 quando l’ultimo erede inglese decise di vendere il castello al comune di Bronte ponendo fine a una storia lunghissima e travagliata.
Durante gli anni dell’assalto al latifondo, l’ECLS a Maniace si occupò della costruzione delle già citate case coloniche – nei tre tipi A, B e C – nelle zone limitrofe al castello. L’importo complessivo per la realizzazione delle 23 abitazioni rurali era di Lire 883.000, come da progetto del 4.12.39, circa Lire 36000 per ogni singola casa. L’ingegnere Salvatore Russo – sostituito per richiamo alle armi dall’Ing. Angelo Pignataro dal 26 Maggio fino al 12 Agosto 1940 -, a cui fu commissionata la direzione “dichiara che le opere sono state approvate per detto importo, su cui sarà concesso il contributo statale nella misura del 38%”. I lavori per le case dalla 1 alla 7 furono commissionati alla ditta Aidala & C. di Bronte con contratto stipulato in data 12 Gennaio 1940 dal Dott. Modica – procuratore dei Nelson – e la stessa ditta. I lavori partirono pochi giorni dopo, il 16 Gennaio e terminarono il 25 Maggio dello stesso anno, come era stato stipulato al momento del contratto. Interessante leggere che la Ducea chiese all’impresa di accellerare i lavori per l’imminente visita di Tassinari – probabilmente il Ministro si trovava nella zona etnea per l’inaugurazione del vicino Borgo Salvatore Giuliano a S. Teodoro. Velocizzare i lavori in un inverno particolarmente piovoso causò allagamenti alle fondazioni, frane nelle trincee degli scavi e una resa minore degli operai e comportò anche un forte aumento del trasporto delle merci.
Le abitazioni dalla 8 alla 23 furono appaltate, con contratto del 23 Febbraio 1940,  alla catanese Lanzafame & Scuderi che già il giorno successivo avviò i cantieri. Secondo gli accordi presi, i lavori sarebbero dovuti terminare il 31 Agosto 1940 ma si proterassero fino al 18 Dicembre 1940. Alla ditta inadempiente furono addebitate penali fino a Lire150 per ogni giorno di lavoro perso.
Nel faldone 558 del Fondo Nelson, si riporta un dettagliato resoconto sull’organizzazione dell’opera. L’ubicazione delle case era regolata a coppie tranne per un'”isolata”, la numero 7.
L’ordine era il seguente:

Case    n. 1-4: Case Cavallaro
”     n. 5-6: Contrada Fondaco
”     n.7: Contrada Mandorleto
”      n.8-19: Contrada Porticelle Sottane
”      n.20-23: Contrada Otaiti

La numerazione seguiva un regolamento ben preciso, “numerate progressivamente da 1 a 23 mediante cifre d’argilla cotta speciale, fornite dalla Ducea e applicate nei prospetti principali delle case, accanto alla porta d’ingresso principale. La numerazione segue crescendo: da sinistra a destra, rispetto a  ciascun gruppo di case abbinate; fa nord a sud, per le prime sei case delle Contrade Cavallaro e Fondaco; da sud a nord per le case da 8 a 23 delle Contrade Porticelle e Otaiti”. Nel paragrafo tre della relazione dell’Ing. Russo si legge anche la disposizione planimetrica di una casa colonica tipo:

Ciascuna casa colonica è composta dei seguenti ambienti: tinello, tre camere da letto, di cui una matrimoniale e una capace di tre letti ciascuna, cesso riposto, piccolo passaggio, stalla per 6 capi, portico con silo, concimaia, pozzo nero per gli scoli del cesso e della stalla. 
Ciascun gruppo di due case abbinate, anche in corpo separato: forno (in comune alle due case,) n.2 porcili, n. 2 pollai (questi con soprastante colombaia) da serbire uno per ciascuna casa, separatamente. 
La casa isolata n.7, della contra mandorleto, comprende un forno a se, porcile, pollaio e relativa colombaia, unico corpo col principale

L’Ente di Colonizzazione si occupò della realizzazione di vie di collegamento, del miglioramento fondiario, della quotizzazione del vastissimo latifondo con possibilità di riscatto e di altre attività migliorative. I coloni che prendevano possesso delle terre avrebbero dovuto seguire – come da prassi – delle specifiche indicazioni stipulate nel contratto e riportate sul “Libretto Colonico”. Come sottolinea Carlo Emilio Gadda nell’articolo presente sulle Vie d’Italia [QUI] tale patto “ha inteso disciplinare il rapporto fra proprietà terriera e lavoro […]; ha voluto fissare le modalità della collaborazione per salvaguardare l’esito della bonifica. È un contratto miglioratorio di tipo mezzadrile che affida al colono il podere per 18 anni”.
In aggiunta a tali mansioni, l’Azienda Maniace si occupò della direzione dei lavori per la costruzione di Borgo Caracciolo. Progettato dall’architetto catanese Francesco Fichera e commissionato all’impresa romana Castelli – interessata anche all’appalto di Borgo Giuliano – per una spesa complessiva di Lire 4.228.000, i lavori partirono il primo Settembre del 1942 senza l’approvazione formale del progetto che venne redatta solo più tardi, nel Settembre del 1946.
A differenza degli emergenti architetti e ingegneri coinvolti nel delineare le forme dei nuovi centri rurali, Fichera – allievo di Ernesto Basile – era un professionista affermato, come si può notare dai richiami al barocco, al gotico e al classico che fuse assieme per la costruzione del complesso rurale. Probabilmente, la scelta ricadde sul progettista catanese anche per “farne pesare l’autorevolezza nei confronti dei Nelson – Bridport”, come sottolinea Vincenzo Sapienza. Una scelta mirata, quindi, che va contro quella volontà di rinnovamento del linguaggio architettonico, di impegno critico – come nel caso di Borgo Caracciolo – o di interessi storici – come in Epifanio o Spatrisano – che hanno segnato la “Scuola di Palermo” e che si contrapponeva a quella basiliana di cui Fichera, come detto, faceva parte.
Il progetto del Borgo fu di certo influenzato dal vicino castello: le due piazze su cui si affacciavano gli edifici di servizio, richiamavano la struttura a corte della residenza inglese. La maggiore delle due – definita principale – ospitava un portico coperto, la casa del Fascio e dell’Ente, la scuola e l’ufficio postale. La seconda piazza, più piccola e definita piazzetta rurale – avrebbe dovuto accogliere la trattoria e rivendita, gli alloggi degli impiegati, le case degli artigiani e il comando dei Carabinieri. Tale disposizione richiama il tessuto urbano di Borgo Lupo dove le diverse strutture sono disposte secondo la loro funzione amministrativo-burocratica, artigianale e commerciale.

Del complesso progetto di Fichera, però, non è chiaro quali e quante strutture siano state realmente realizzate. Secondo alcune ipotesi, soltanto le opere di competenza statale erano state costruite  al 1942, omettendo quelle attorno alla pizzetta rurale che sarebbero spettate all’azione privata. Analizzando, però, i documenti di collaudo la situazione sembra essere del tutto diversa: risultano, difatti, completate per il 30% le opere statali e per ben il 70% quelle a carico dei privati. Si legge, a riprova di ciò, in una lettera del 14 Novembre 1942 tra Nallo Mazzocchi Alemanni e l’Ufficio Compartimentale per i Servizi Fiscali e Commerciali dei Monopoli di Stato di Messina che i locali adibiti a “rivendita di generi di monopolio” erano in via di ultimazione e che era stata già scelto il personale che avrebbe gestito il locale e successivamente anche la trattoria – spaccio – locanda. Lo stesso Mazzocchi Alemanni sottolineava la necessità del servizio – mancante nella zona – che sarebbe venuto incontro “ai desideri della numerosa popolazione rurale residente stabilmente in quel comprensorio”. Difatti, secondo le stime dell’Azienda di Maniace, al Settembre 1941 nell’area vivevano 209 famiglie per un totale di 1045 membri. “Vi è inoltre – continua la ricerca – una popolazione fluttuante di 395 famiglie con circa 1835 membri, parte dei quali residenti a Maniace durante il periodo dei lavori stagionali. A tale numero è da aggiungere il personale d’azienda e le loro famiglie in numero di circa 50 membri”.
Nonostante ciò, rimangono dubbi sulla completezza dei lavori ma è certo che alcuni locali dell’Ufficio Postale vennero impiegati per ospitare l’ambulatorio e l’infermiera ed ostetrica locale, Giuseppina Galvagno – di certo dal primo Luglio 1941 al 30 Novembre 1942 – mentre le altre strutture servirono come magazzino per le macchine agricole e come ricovero provvisorio per gli animali. La certezza della presenza dell’ostetrica e dell’ambulatorio è attestata dalle svariate lettere che la stessa inviò all’Ente e all’Azienda per il pagamento del proprio lavoro. Richieste doverose se, con “deliberazione n. 274”, il 24 Gennaio 1942 furono stanziati fondi – pari a Lire 26000 all’anno per i primi tre anni a carico dell’Ente e successivamente a carico del Comune di Bronte – per avviare il funzionamento amministrativo del Servizio Sanitario. Altre lettere che denunciano la presenza di un presidio medico sono quelle che riguardano gli avvicendamenti, i ritardi dei pagamenti e dei rimborsi ai medici Messina, Malgioglio, Buonincontro e Pappalardo molti dei quali richiamati alle armi. Quest’ultimo, inoltre, fu trasferito “per inderogabili necessità sopravvenute” da Borgo Giuliano allo stesso Borgo Caracciolo per tre giorni la settimana. Come precisato, “l’incarico di carattere del tutto provvisorio, cesserà non appena si sarò provveduto alla nomina di un Medico con l’obbligo della permanenza sul posto”.
Come gli altri borghi ECLS di tipo maggiore, anche a Maniace si prevedeva la presenza della chiesa. In questo caso si sarebbe sfruttata e valorizzata quella di S. Maria di origine normanna risalente al IX secolo,  all’interno del castello. Questo permetteva un risparmio considerevole di risorse – in un momento in cui la manodopera subiva un rialzo dei prezzi – che si sarebbero impiegate per una serie di abbellimenti e particolari voluti da Fichera, come i quattro bassorilievi scolpiti in pietra dell’Etna commissionati allo scultore catanese Marino. A quest’ultimo venne anche affidata la realizzazione dei pannelli decorativi delle Poste – per un compenso di Lire 10.000 – e del “partito decorativo principale, posto all’ingresso del borgo” – per una spesa di Lire 30.000, minore rispetto alla richiesta inziale. Quest’ultimo elemento sembra stare particolarmente a cuore al Fichera che, come si legge in una missiva del 29 Agosto 1942 tra lui e il direttore dell’Ente, attribuisce a “quest’opera […] un alto valore espressivo, in quanto dovrà presentare il Borgo, illustrare la vita che vi si svolge – disciplinata e ed elevata dall’azione dell’Ente -, e la sua dedicazione all’Ammiraglio Caracciolo; oltre a un nobile intrinseco valore artistico, in quanto le figurazioni dovranno essere ricavate nell’aspra lava natia attraverso un’aggiornata maestria primitiva in piena linea con la tradizione”. Lo scritto si conclude con la proposta di presentare l’opera all’Esposizione dei Borghi Rurali che si sarebbe svolta a breve presso alcuni locali del teatro Politeama di Palermo.
Per i pannelli decorativi della Scuola fu nominato Florio – per un compenso di Lire 4.600. Per i lavori del fregio “in giro” della casa del Fascio, forse il luogo più rappresentativo di Borgo Caracciolo, fu chiamato lo scultore Umberto Diano, direttore della Regia Scuola di Arte di Comiso che, dopo trattative tra l’Ente e lo stesso Fichera, fu pagato Lire 30.000, il doppio del pattuito in origine.
Il progetto complessivo risultò più dispendioso del previsto se, come si legge in una lettera del Dicembre 1945, Fichera venne richiamato dall’ECLS. L’architetto, infatti, tralasciò le spese per i riscaldamenti degli edifici di competenza statale e fu esortato a “realizzare in sede costruttiva delle economie sui fabbricati per poter ritrovare i fondi necessari per l’esecuzione degli impianti”. A sottolineare l’importanza e l’urgenza della fondazione di Borgo Caracciolo è ancora la lettera che sottolinea che “per le opere di competenza statale – Casa del Fascio, Ufficio dell’Ente e Poste [n.d.r.] – è stato di già fatto un grande passo in avanti nel chiedere al Ministero l’autorizzazione ad eseguire il borgo superando il limite degli stanziamenti previsti e concordati con il Ministero delle Finanze”.
Nonostante gli sforzi di cui abbiamo parlato, le opere di realizzazione furono sospese bruscamente quando, sulle coste sud della Sicilia il 9 Luglio del 1943, gli alleati sbarcarono in Sicilia: era l’Operazione Husky. Qualche anno più tardi si decise di sospendere definitivamente il progetto con D.M. 2023 del Giugno 1946, redatto solo nel 1948 per la difficoltà di contattare i responsabili dell’impresa che si trovavano a Roma.
Ciò che rimane oggi di Borgo Caracciolo è solo un mucchio di macerie coperte dalla vegetazione che simbolicamente copre la memoria di una vicenda secolare tra due opposti protagonisti della storia. E come racconta Carlo Levi, arrivato in questi territori nel 1952 durante la stesura del suo “Le parole sono pietre”, la ducea ha rappresentato il «più assurdo anacronismo storico della persistenza di un perduto mondo feudale e dei difficili tentativi contadini per esistere come uomini».

Da un punto di vista del suono, Borgo Caracciolo, o quel che ne resta, essendo immerso nel bosco che affianca il Castello Nelson, e cogliendo quindi, anche sotto un punto di vista sonoro, il flusso di turisti che visita il Castello, vive, almeno fino ad un certo orario, del passaggio costante ma discontinuo dei visitatori.
Mentre questa immagine sonora è amplificata al confine tra borgo e castello, immergendoci nel borgo vero e proprio, qualsiasi suono di passaggio proveniente dal castello sparisce e il nostro studio sul suono si è concentrato soprattutto su questo fenomeno. Entrando nel bosco, infatti, abbiamo due livelli dinamici sonori: a volume maggiore, le biofonie degli uccelli sono i soggetti sonori principali, laddove, invece, a volume minore, il passaggio delle macchine, i campanacci delle vacche seguito dal richiamo di qualche pastore e di tanto in tanto il suono degli spari della caccia, fanno sentire i loro inviluppi, anch’essi costanti ma discontinui.