Deriva — sf. [sec. XVIII; dal francese dérive] — è il movimento costante che procede dal conosciuto allo sconosciuto, all’assurdo e, in generale, al non programmato. Tale condizione presuppone un andamento lineare, discostandosi da un lato da quello centrifugo dei corsi e ricorsi storici e dall’altro da quello centripeto generato da chi osserva un problema nel tentativo positivo di risolverlo.

La deriva culturale, in etnologia, è un fenomeno di trasformazione procurato da fattori interni al gruppo non influenzati dall’esterno. È come la continuità di una tradizione quando non c’è più controllo e confronto, una zattera che si muove sull’oceano. In questo senso, se consideriamo il “sistema-universo” come un sistema chiuso, deriva è entropia. In psicologia per deriva si intende un connotato morale ed etico. La deriva è disconfermare una scelta precedentemente presa che anticipa la caduta, il collasso.

La deriva, infine, è estremamente diversa dalla transizione poichè viene meno il punto di riferimento finale. Ha insito in sé l’imprevedibile, il non definito. La deriva potrebbe, da questo punto di vista, essere un particolare tipo di esplorazione in cui dopo che ogni cosa è stata costruita, pianificata, progettata, la si abbandona. La si lascia a sé. Il paesaggio abbandonato porta con sé un quesito che profuma di deriva.

Alla luce di tali riflessioni, VacuaMoenia propone a musicisti e compositori un’indagine che possa gettare nuove considerazioni e analisi sul tema della “deriva” nelle arti. Come si può rappresentare attraverso il medium compositivo elettroacustico il tema della deriva? Quali pratiche, quali forme, quali strategie adottare?

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