BORGO ANGELO RIZZA

TIPO DI BORGO — a

progettista — Pietro Gramignani

data di progetto — 1939

località — c.da tummarello

stato di conservazione — parzialmente recuperato

Borgo Angelo Rizza, situato in contrada Tummarello in territorio di Carlentini, fu costruito in seno al progetto di colonizzazione fondiaria previsto dall’ECLS (Ente Colonizzazione Latifondo Siciliano) a partire dal 1939-40. Il borgo di tipo A non è lontano dalla zona di bonifica del lago di Lentini dove sorge il villaggio operaio della Bardara di Lentini e fa parte degli otto agglomerati rurali previsti per il primo lotto di opere per l’appoderamente del latifondo.
L’attribuzione della denominazione del villaggio carlentinese, avvenuta in base al Regio Decreto 9 dicembre 1940 n.1977, mirava a «perpetuare la memoria» di Angelo Rizza nato il 22 settembre 1903 a Siracusa da Giovanni e Marianna di Gallia. La vita del giovane fu segnata dalla perdita del padre che lo costrinse a «sostenere la sua famiglia della quale era l’unico sostegno […] lavorando come amanuense presso un notaio». Divenne “martire fascista” quando il 16 maggio 1921 «alle ore 11 durante un conflitto con dei sovversivi fu ucciso in piazza del Duomo» ad Ortigia. Da quel momento, il fascismo ritenne che la vita di Rizza dovesse essere consacrata alla «fede nella Patria e nel Duce».
La domanda di concessione per la realizzazione del borgo rurale risale al 12 gennaio 1940 — gli stessi documenti per gli altri borghi ECLS furono presentati tra il 16 dicembre 1939 e il 19 aprile 1943 — e la stima preventivata ammontava a 1.047.021,05Lire per le opere di interesse statale e 559.550Lire per le opere di competenza privata. A queste andavano aggiunte 656.369Lire per la perizia supplettiva per le opere dello Stato. Il contratto firmato il 27 marzo 1940 stabiliva all’art.8 che i lavori sarebbero dovuti essere ultimati il 31 luglio 1940. Il documento di intesa fu, infine, registrato al n.18316 «in Palermo addì 11 maggio 1940 N.II V.742 F.128».
Secondo la volontà dell’ECLS, i borghi dovevano essere progettati da architetti siciliani in modo tale da rispecchiare il clima, il colore e le peculiarità del luogo su cui sarebbero sorti. È evidente, però, che l’architettura di riferimento sia da un lato quella espressa e teorizzata da Luigi Epifanio nel suo volume sull’architettura rustica siciliana e dall’altro da Nallo Mazzocchi Alemanni che spingeva verso il neoclassicismo monumentale che in seguito diverrà l’architettura simbolo del ventennio. Ad essere incaricata della realizzazione fu l’Impresa Ferrobeton — con cui l’ECLS aveva preso accordi sin dal dicembre 1939 — su progetto di Pietro Gramignani, approvato dal Provveditorato alle Opere Pubbliche con voto n.3144 del 24 gennaio 1940. Il Gramignani riuscì a rileggere le volontà espresse dall’Ente tanto che la stessa Maria Accascina nel descrivere il Borgo sottolineava come «tutte le costruzioni pare vogliano respirare e gioire della campagna, per mezzo di terrazze, per ampie finestre, per arcate d’ingresso. Anche la disposizione dei volumi è meditata in modo tale che lo spazio e la luce riescano a compenetrare la massa architettonica».
Nel progettare, Gramignani pensò la piazza di Borgo Rizza come «luogo di riunione, di contratti, di scambi commerciali, di svago. Un borgo senza piazza non avrebbe suggerito al rurale siciliano l’idea di paese», così affermava ancora l’Accascina. La Casa del Fascio si affaccia sulla piazza principale, composta da «gli edifici costituenti il Borgo, disposti sui tre lati di un rettangolo aperto verso la via di accesso». Non a caso la sede del partito era ben visibile: serviva, difatti, come monito e come avvertimento di controllo del territorio in un contesto socio-economico molto spesso lontano dalle istituzioni. Negli altri borghi al posto della sede del PNF è possibile trovare ad accogliere il visitatore la Chiesa o la torre littoria; ad ogni modo  simboli del potere terreno e spirituale.
Ad abbellire Borgo Rizza fu chiamato il pittore Alfonso Amorelli, già coinvolto dall’Ente di Colonizzazione per alcuni locali di Borgo Fazio e Borgo Bonsignore. L’artista fu definito da Maria Accascina

geniale artista, rapido nell’immaginare e nel dipingere ad affresco, vera tempra di decoratore ed acquarellista piacevolissimo, insuperabile a trarre partito dai bianchi, e a comporre con rapide e certe pennellate, paesaggi nordici o solari

Di quelle opere, oggi, abbiamo soltanto una fotografia che Eugenio Bronzetti fece durante il suo lavoro per i borghi e poco più. Diversi anni fa un appassionato di fotografia locale riuscì ad immortale alcuni resti [leggi l’articolo]. L’immagine mostrava una sorta di collage di iconografie amorelliane, in primo piano un uomo all’aratro con due buoi aggiogati, del tutto identico all’analogo soggetto della Galleria delle Vittorie di Palermo, una madre col figlio e un altro uomo piegato, forse intento a togliere dei massi per agevolare il dissodamento, mentre sullo sfondo si intravedeva un acquedotto romano e alcuni contadini al lavoro nei campi. Scene di vita reale dove uomini e animali condividevano l’esistenza quotidiana in una esaltazione dell’etica del lavoro e della famiglia funzionali all’estetica del regime.
Uno degli aspetti più interessanti, ma al contempo meno affrontati, dell’assalto al latifondo è quello sociale. Oltre al testo del 1942 di Paolo Fortunati [LINK], ben poco si è scritto e trovare missive nell’archivio ESA su questo tema, permette di delineare – anche se in minima parte – come si svolgeva la vita nelle aree rurali siciliane interessate dall’azione fascista. Il 12 novembre 1940, poco prima dell’inaugurazione, Nallo Mazzocchi Alemanni – direttore dell’ECLS – scriveva al Provveditore agli Studi di Siracusa circa l’arredamento della Scuola Rurale del Borgo pregando di «sospendere o disdire […] la richiesta degli arredi al Ministero dell’Educazione Nazionale». Pochi giorni dopo, il 18 novembre, con nota n.12343 lo stesso Provveditore Romani assicurava sul fatto che «questo Ufficio non ha fatto alcuna richiesta al Ministero dell’Educazione Nazionale per la fornitura di arredi e di quanto altro possa occorrere alla Scuola nel Borgo rurale “Rizza”». Intanto, il Direttore delle Scuole Rurali di Siracusa Gaetano Catalano, evidentemente non aggiornato sulla situazione,  scriveva all’Ente in data 25 novembre 1940 circa gli «arredamenti completi» che avrebbero dovuto fornire la Scuola del Borgo – composta da due aule – in vista della prossima apertura nel mese di dicembre. A questa nota, seguì quella del giorno successivo in cui si comunicava che il 9 dicembre avrebbero preso servizio le insegnanti e che le attrezzature necessarie per le aule scolastiche sarebbero dovute essere consegnate entro e non oltre il 10 dello stesso mese. Il 29 novembre, rispettando i tempi richiesti dal Direttore Catalano, l’Ente di Colonizzazione confermava che gli arredi erano pronti per essere spediti entro il «2 dicembre p.v. mezzo ferrovia» e che il “materiale didattico e cartografico «sarebbe stato consegnato con spedizione a parte». A distanza di un anno dall’avvio delle lezioni e mentre in Europa imperversava il secondo conflitto mondiale, il Delegato Podestarile Cavaleri con nota n. 419 del 14 novembre 1941 inviata all’Ente di Colonizzazione sottolineava che erano 23 gli alunni che frequentavano le varie classi della scuola di Borgo Rizza.
La vita del piccolo centro siracusano di Contrada Tummarello scorreva non curante degli eventi storici. Ci si concentrava sulle attività quotidiane, semplici ma al tempo stesso ricche di valori e significati. Così, si può leggere come «gli alunni della scuola del Borgo Rizza […], non hanno beneficiato della provvidenza del Partito per la Befana e la refezione scolastica» (vedi nota n.6766 del 31 marzo 1943), travandosi tra questi alcuni «veramente poveri, i quali anno di bisogno […] di qualche vestitino, e di qualche paio di scarpe» (nota del Delegato Podestarile all’ECLS, nota n.132 del 20 marzo 1943).

In seguito allo stato di emergenza dichiarato il 10 luglio 1943, l’Ente di colonizzazione passava nell’amministrazione dell’AMGOT che affidò a Vincenzo Faravino la gestione dell’Ente in qualità di Commissario Speciale. Compito oneroso, quello di Faravino, che era costretto a riorganizzare e mettere in ordine non solo le casse dell’ECLS ma anche a gestire i beni mobili e immobili; tra questi ovviamente anche i borghi rurali il cui destino fu spesso segnato dall’incapacità dei vari comuni pertinenti di «sopportare le spese per il mantenimento dei vari servizi» ed il conseguente licenziamento di tutto il personale ad essi adibito. In una relazione del 13 dicembre 1943, Faravino riportava la situazione di Borgo Rizza dopo l’occupazione delle truppe alleate che avevano trasformato il centro di Carlentini in un ospedale da campo. Dopo il suo sgombero, le normali attività non ripresero e molti dei fabbricati necessitavano di urgenti riparazioni «a seguito dei danni riportati per fatti d’armi». Quasi tutti i muri perimetrali erano danneggiati da mitragliamenti, soprattutto il Municipio, la Chiesa, la Scuola e la Caserma «la quale è stata anche colpita da un proiettile di cannone nel prospetto nord». Ciò determinò il completo abbandono del borgo e la mancanza di guardiania rese possibile «il perpetrarsi di atti vandalici a danno dei fabbricati, nonchè il furto di buona parte di arredamento degli uffici». Faravino constata la situazione decise, in accordo col comune, di inviare un custode e di contattare il Provveditorato agli Studi di Siracusa per la ripertura della scuola rurale.
La scuola prima di tutto, intesa come un tassello fondamentale e vitale per la zona rurale di Carlentini e un importante fonte di lavoro per gli insegnati, in particolar modo per la Maestra Maria Girgenti. Il 19 novembre 1945, questa scrisse al Direttore dell’Ente una lettera accorata in cui chiedeva di «venire in aiuto di una povera maestra vittima della malvagità nonchè ingiustizia umana». Si riteneva, infatti, esautorata della sua posizione dopo «14 anni di appassionato servizio reso alla scuola in qualità di maestra provvisoria». Ogni protesta era da lei definita «come abbaiare alla luna… Sotto qualunque governo, il mondo cammina sempre sullo stesso binario. Pazienza…». Il caso della Girgenti approdò sulle scrivanie del Ministero, del Provveditorato e della Prefettura che erano costretti a seguire le «graduatorie generali degli aspiranti ad un incarico nelle scuole elementari della provincia». La maestra, infatti, era al 31° posto su 25 disponibili, dato anche «l’obbligo di assumere, nell’aliquota del 50%, i reduci e i partigiani». Tuttavia, il Provveditore agli Studi Agnello nella nota n. 8858 dell’11 dicembre 1945 teneva a segnalare la posizione della Girgenti al Direttore di Carlentini per l’incarico di qualche, seppur breve, supplenza. La questione fu affrontata il 4 dicembre 1945 da Mario Ovazza – direttore dell’ECLS – quando scrisse in modo risoluto al Provveditore siracusano invitandolo a «cercare di affidarle l’incarico per l’insegnamento in qualche altra scuola rurale». Ovazza, infine, faceva presente che «la Sig.na Girgenti sarà certamente invitata da chi di dovere a lasciare l’abitazione in atto occupata al Borgo che dovrebbe essere assegnata al nuovo insegnante, per cui la predetta verrebbe a trovarsi oltre che senza i mezzi necessari per vivere anche senza abitazione». Dalle carte custodite, però, non sappiamo nulla sulle decisioni prese in seguito a questa lettera.
Accadde spesso che, durante l’avanzata alleata, i borghi siciliani furono presi di mira durante le azioni di guerra, un esempio è Borgo Giuliano nel messinese che divenne campo base per tedeschi prima e americani dopo. Con il voto del 18 luglio 1945 del Provveditorato alle Opere Pubbliche si richiedeva, dopo verifica dell’11 giugno 1945, di iniziare i lavori di riparazione per i danni bellici subiti dai vari fabbricati. Altre perizie furono avanzate per gli edifici di competenza statale tra il marzo e l’aprile 1946 per una spesa di 600.000Lire. Negli anni, quando l’ECLS fu trasformato in ERAS – con la Legge Regionale 104/1950 – i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria si susseguirono: abbiamo testimonianza di richieste nel 1965, 1966 fino al 1968.
Il 15 ottobre 1947 con nota n.9300, il Provveditorato agli studi della città aretusea fu nuovamente scomodato dall’Ovazza che si pose come portavoce di «molti capi famiglia residenti al Borgo Rizza». Questi ultimi, infatti, richiedevano atraverso la «rigorosa voce» dell’Ente la «riapertura della scuola per i loro figli». Si trattava di «circa 20 alunni delle cinque classi che avrebbero bisogno dell’insegnamento elementare che non possono praticare altrove data la distanza del Borgo dal più vicino centro scolastico». Gli alunni avrebbero seguito le lezioni suddivisi in tre per la prima classe, due per la seconda, quattro per la terza, quattro per la quarta classe e cinque per la quinta (dalla lettera firmata dai vari contadini in data 3 ottobre 1947).
I danni bellici subiti dal Borgo siracusano furono così ingenti tanto da costringere il Comandante Francesco Re del Gruppo di Siracusa – Legione Territoriale dei Carabinieri di Messina a richiedere in data 3 dicembre 1947  con nota n.538/22-1944  all’ECLS «ordinari lavori di manutenzione», per risolvere le «condizioni di abitabilità […] quanto mai precarie». Più di un mese e mezzo dopo, in data 27 gennaio 1948 con nota n. 327/88 il Commissario Straordinario Dott. Rosario Corona era «spiacente di dover comunicare che, in atto, non è possibile dar corso a quanto richiesto, mancando ogni assegnazione dei fondi indispensabili per l’esecuzione  dei lavori stessi». L’Ente, continuava Corona, avrebbe effetutato le necessarie riparazioni e manutenzioni del Borgo una volta avvenuto il finanziamento previsto nel «programma di esercizio 1947-48» e dopo aver ottenuto il nullaosta del Genio Civile. Insomma, i tempi si allungavano a data da definirsi causando un mancato controllo attivo del territorio in un’area particolarmente “calda”. La situazione di stallo era ancora denunciata dal Comandante Re il 4 marzo 1948 quando sottolineava che «la presenza dell’Arma nella zona del Borgo Angelo Rizza è da ritenersi indispensabile, specie nella eventualità di una costituzione in sede di una sezione elettorale staccata» e soprassedere alla «progettata chiusura». L’auspicio era quello di attivare nuovamente le attività nel mese di aprile, definendo solo gli interventi più urgenti di ripristino, ma purtroppo nelle carte d’archivio non abbiamo alcun documento inerente la risoluzione di questo contenzioso.

Borgo Giuliano e Borgo Rizza sono uniti da un ulteriore filo rosso: l’11 agosto 1949, il Capo Servizi Amministrativo dell’Ufficio Borghi scriveva un promemoria al Commissario Straordinario sottolineando che il Sig. Guido Guidini, impiegato dell’Ente (ancora ECLS, n.d.r.), si sarebbe dovuto occupare di riportare il mobilio al Borgo messinese «dalle varie località in cui essi si trovavano». Infatti, sappiamo che i vari oggetti d’interno del centro rurale erano stati suddivisi al fine di evitarne la razzia, durante l’occupazione tedesca e alleata. A Borgo Rizza, il Guidini aveva il compito, oltre di «accudire il podere dimostrativo», di effettuare «una ricognizione degli arredamenti e delle attrezzature che dovranno essere reperiti presso i vari detentori (privati ed autorità comunali)». Si richiedeva, quindi, un «apposito fondo non inferiore a 50.000Lire» per il Guidini da stanziare con una certa celerità per evitare che il Prefetto di Siracusa – scavalcando l’Ente e l’Assessorato – potesse passare da «voci, seppur vaghe» su Borgo Rizza in un atto concreto, trasformando alcune strutture in una «specie di orfanotrofio».
Negli anni Sessanta del Novecento, la zona di Lentini e Carlentini presentava ancora evidente problemi di anofele tanto che il Comitato Provinciale Antimalarico di Siracusa era ospitato in alcuni locali al pian terreno dell’Ambulatorio.
Borgo Rizza, pur facendo parte degli otto agglomerati che dovevano lanciare il processo di riqualificazione delle aree rurali depresse, non ebbe un vissuto che decollò mai realmente: gli otto edifici che lo costituivano vennero abbandonati negli anni Settanta. Il 5 luglio 1975, come da prassi, il centro rurale venne consegnato al Comune di Carlentini che ne avrebbe dovuto garantire l’uso perpetuo di pubblica utilità.
Nel 2007, lo stesso Comune ha avviato il recupero del borgo, impegnando 850.000€ e dovendo poi bloccare i lavori per la indisponibilità di ulteriori fondi. Sono stati ristrutturati solo tre dei complessi architettonici e, per altro, non terminati. In tempi recenti, è stato proposto un progetto per riqualificare il borgo in cui ospitare un centro per la ricerca vivaistica e lo sviluppo delle colture agrumicole ed olivicole. Ad oggi, dopo esser stato deturpato dai soliti giocatori di soft-air, Borgo Rizza sembra viviere una seconda vita grazie al progetto “Difficult Heritage“, summer school promossa dal collettivo DAAR con il supporto della Royal Institute of Art di Stoccolma (Svezia) e dell’University of Basel (Svizzera). Durante la prima edizione (2021), VacuaMoenia è stata invitata a presentare il proprio lavoro di ricerca, studio e analisi suscitando un forte interesse tra i partecipanti che ha portato all’avvio di alcuni progetti tra cui “ERSILIA – La città emergente” curato da Ginevra Ludovici e Alice Labor per il museo MACTE di Termoli.

Acusticamente, Borgo Rizza è attorniato da Eucalipti che fanno da limite sonoro tra l’esterno e l’interno della zona, creando una vera e propria bolla di isolamento, bolla che trae vantaggio da una distanza molto grande dai centri abitati. A livello di paesaggio sonoro gli uccelli che popolano gli alberi hanno la predominanza, tranne nei giorni di vento, quando la massiva presenza di arbusti dialoga con la fauna, in alcune zone predominando, grazie anche ad una leggera sopra-elevatura del lato chiesa rispetto il resto del borgo che crea un piccolo effetto anfiteatro e la presenza di grano nel lato pianeggiante. Il canto degli uccelli si può ascoltare anche dentro i resti delle case, in quanto gli interni sono divenuti, nel corso degli anni, riparo per piccoli volatili che li hanno adattati a nido. Particolare anche l’ingresso a corridoio che isola i suoni più presenti nel Borgo fino all’arrivo nella piazza principale, isolamento realizzato mediante due file di alberi nel viale principale. Tra gli interni emerge per particolarità la chiesa sulla collinetta, a sinistra dell’edificio principale. Ormai ridotta in stato di rudere, suona di un bellissimo riverbero, con un RT60 dai 5 ai 7 secondi a seconda del punto, che permette di trasformare ogni materiale presente in materiale risonante. Nonostante il borgo, privilegiato dalla posizione distante dai centri urbani, ma semplice da raggiungere, sia vissuto (più a scopo ludico che reale) e nonostante la presenza di una casa proprio accanto la chiesa, prima luogo di ristoro e ora probabilmente abitato, è possibile trovare degli ottimi materiali con cui suonare abbandonati qua e là. La pietra, in primis, quella soprattutto naturale, per lo più verso la collina e il fruscio del grano. Poi il legno, presente nella chiesa e in giro per le case, spesso in interazione naturale con il ferro e il metallo. Vista la presenza predominante del paesaggio, però, è da considerare il rapporto con quest’ultimo nei momenti di orchestra ecologica.